Steady Cam

L'evento

Il mondo ci sta abituando ad una percezione sempre più frammentata.
Non siamo più abituati a vedere la realtà come uno flusso continuo.

Lontano dagli stimoli non-stop dei social network, posando lo sguardo su qualcosa di semplice e gratificante, a volte vorrei non dover sbattere le palpebre per non interrompere la piacevolezza di una percezione continua e senza interruzioni.

E’ in quel momento che sento il corpo venire dolcemente ravvivato da quella che sembra un’energia, un senso di realtà che mi nutre in maniera delicata ma via via sempre più vivificante ed intensa.
Nella contemplazione ci nutriamo delle impressioni che emergono da un’attenzione posata sufficientemente a lungo sul soggetto che ispira in noi sensazioni, impressioni e sentimenti che vanno oltre il consueto.

Comunque è certamente più facile stare in presenza contemplando un bel panorama naturale sul terrazzo di casa che facendo a calci e pugni durante una scazzottata al bar in stile Bud Spencer & Terence Hill…!

Il film girato con un unico piano sequenza è secondo me quello che in campo cinematografico si avvicina di più al principio dell’osservare in presenza.
Come ad esempio Birdman di Alejandro Gonzàles Inarritu, o “Nodo alla Gola” di Alfred Hitchcock, dove sembra che il film sia stato girato senza interruzioni né montaggio.


Tecnicamente non è proprio così, alcune sequenze molto lunghe vengono successivamente montate dando l’illusione della continuità, ma la percezione dello spettatore e’ quella di un’unica, lunghissima scena.

Immagina invece una sequenza con un montaggio serrato, ad esempio in un film d’azione. Ti risucchia all’interno di una centrifuga in cui ogni stimolo ti sbalza di qua e di là, percettivamente ed emotivamente.

Ma ogni piccolo spezzone in verità ha poca intensità, perché non c’è il tempo necessario affinché tu lo possa “assorbire” in profondità, con attenzione.

L’unica intensità che arriva in verità è il ritmo frenetico e martellante del montaggio, che analogicamente rappresenta la mente.

Non riesci ad immergerti veramente nella scena, nell’ambiente rappresentato, perché la continuità della presenza viene continuamente spezzata dal montaggio compulsivo.

Proprio come fa la mente. Collega cose apparentemente casuali, salta di palo in frasca, snocciola serie e ripetizioni infinite di pensieri con un ritmo ossessivo.

La mente gira quel tipo di film che “ti tiene sveglio la notte”.

Prova ora invece a visualizzare una scena statica, tranquilla, o un piano sequenza molto lento.

E’ pura contemplazione. Riesci ad entrare dentro il film, nello spazio, attivando la parte destra del cervello, quella dello spazio e della ricettività. Qui è più facile non perdere la presenza perché gli stimoli sono più morbidi, continui e prevedibili.

Per rendere un po’ più concreto questo discorso, prova a fare questo piccolo esercizio.

Prova ad attraversare le stanze di casa tua come se fossi un cameraman e stessi girando un film facendo un’unica ripresa. Hai la telecamera in spalla. Anzi no, ce l’hai in testa. In realtà i tuoi occhi sono l’obiettivo della telecamera.

Non puoi pensare, perché questo bloccherebbe il flusso delle percezioni in arrivo, ma soprattutto la registrazione. Ogni volta che pensi, interrompi la registrazione.
Se continui ad interrompere e tagliare le scene, poi per forza ti toccherà affidarti al montatore..

Alla mente piace disfare, per poi cercare di rimettere insieme i pezzi.

Fai finta di girare un film con un unico piano sequenza. Immagina di essere una steadycam, e di poter quasi fluttuare nello spazio. Utilizza le gambe, i piedi e il contatto col pavimento per ricreare questo movimento dolce e fluido.

 

La continuità della percezione alimenta la continuità della presenza. Il movimento fluido, continuo, anziché spezzato ed interrotto, amplifica la sensazione di essere un corpo fisico, che si muove nello spazio fisico.

Stai particolarmente vigile quando attraversi le porte. Di solito non ne siamo per niente consapevoli. Ma ora stai registrando una scena molto lunga, senza interruzioni.

Il tuo essere presente, senza l’interferenza della mente, corrisponde a quando è attiva la spia rossa “recording”. Quando la registrazione è in stop, e la puoi scorrere in avanti ed indietro per controllarla con fast forward e rewind, lì è quando riattivi la mente, che può muoversi nel passato e nel futuro.

Dopo aver esplorato un po’ lo spazio in questa maniera, prova ad aggiungere qualche semplice azione, sempre fluendo in continuità.

Entra in camera da letto, apri la portiera dell’armadio, e fai una carrellata sui vestiti. Esplora i cassetti, e scorri sopra gli altri oggetti presenti nella stanza, come farebbe lo sguardo di una cinepresa.
Non c’è bisogno di effettuare nessun taglio, nessuna interruzione. Nessun nastro da sostituire, né batteria da ricaricare.
Assorbi questa percezione continua come se fosse nutrimento per il corpo. E’ la continuità, che dopo un po’ ti ritorna come intensità, energia, stabilità. I sensi si acuiscono, sembrano assorbire più dettagli, più luce.

Tutto comincia a diventare più ricco e luminoso. Gli angoli di casa esplorati così, cominciano a restituire impressioni che soddisfano i sensi e si traducono in maggiore consapevolezza di sé nello spazio.

L’anima è il regista.

Il corpo è la telecamera.

La mente è il montatore.

La mente ( il montatore) interrompe. Spezza. Taglia. Collega. Mette insieme. Aggiusta. Accorcia. Allunga. Si sposta avanti e indietro nel tempo con la moviola. Raffina. Rifinisce. Perfeziona.

L’anima (il regista) prende la sceneggiatura, il piano divino, e lo immagina. Lo visualizza, in forma di storyboard, come un grande scenario. Come una vita prima di essere vissuta.

Prepara e definisce tutto ciò che succederà, aspettandosi però sempre anche un certo margine di variazione.

Il corpo (la telecamera) registra il piano messo in atto dall’anima, secondo le indicazioni da lei suggerite.

Per mantenere la continuità è necessario che la mente non interrompa la registrazione. Si deve permettere ai sensi e alle impressioni che arrivano dallo spazio reale di intensificarsi.

Non c’è bisogno delle parole, visto che questo film non ha dialoghi. E il corpo ha già ricevuto le istruzioni necessarie dall’anima. Sa intuitivamente cosa deve fare.

Quello che la mente fa di solito quando ti sposti da una stanza all’altra è di attivarsi e disattivarsi in continuazione, come se spezzasse il flusso (e quindi l’intensità delle tue percezioni) in tanti piccoli pezzi.

Sempre usando il linguaggio del cinema, a seconda sia delle necessità dell’anima che degli ostacoli e degli imprevisti che emergono durante le riprese, il montatore (la mente), si occupa di ricostruire e di montare assieme ciò che il corpo registra in tempo reale, sotto la supervisione dell’anima, in modo da dare un senso compiuto al film finito (la vita).
Oppure di rovinare il risultato con un montaggio mediocre, sotto pressione della casa di produzione! (Le tentazioni materiali).

Vuoi che la tua vita sembri un B-Movie hollywoodiano da pochi spicci o diventi un capolavoro del cinema d’autore (tipo Stalker)?

Vuoi dare più spazio al montaggio frenetico della mente, oppure alle impressioni poetiche e sublimi dell’anima?

A te la scelta.

(-598)

Paolo Adel Danese

L’esercizio dei 5 minuti per sviluppare il ricordo di sé

L'evento

Il Risveglio è uno stato di coscienza superiore in cui il costante ricordarsi di sé provoca un apertura del cuore ed una sensazione di serenità e benessere che sgorga dall’interno.

E’ uno stato di grazia, non si raggiunge o si conquista.
Ci si tende attraverso lo sforzo continuo del ricordo di sè, sperimentandolo anche in maniera temporanea o parziale, prima che diventi uno stato abituale dell’essere.

Per raggiungere questo stato esistono molteplici vie, ma qui parleremo di quella più rapida, la “via breve”. Questa via presuppone un lavoro ed un impegno costante per ricordarsi di sé nei momenti di vita quotidiana.

A differenza di pratiche come la meditazione, lo sforzo per ricordarsi di sé si applica durante le attività di ogni giorno. Non ci si isola dal mondo, ma si usa l’esperienza nel mondo per far emergere la consapevolezza di esistere.

La difficoltà nello sforzarsi di essere presenti a sé stessi all’interno di situazioni non ideali la rende una pratica difficile ma anche più rapida.

La disciplina continua nell’applicare lo sforzo di ricordarsi di sé, provoca inevitabilmente una trasformazione interiore dei meccanismi automatici che il nostro apparato psicofisico manifesta ininterrottamente ogni giorno.

Esistono vari semplici esercizi per iniziare ad applicare il ricordo di sé nella vita quotidiana.
Salvatore Brizzi nel suo libro “Risveglio” ne descrive diversi.

Ovviamente parliamo di sforzo verso, non dello stato di presenza di sé. E’ il tendere verso lo stato di presenza, lo sforzo, che rende concreta la trasformazione dei nostri meccanismi automatici. Ma lo stato di presenza, superata la necessità di sforzarsi per mantenerlo, diventa una condizione naturale perché non è mentale, ma relativa all’apertura del cuore e della sua connessione naturale con la Vita.

Nella mia esperienza, in vari momenti e periodi, ho trovato lo spazio e la disciplina per sperimentare ed applicare alcuni di essi.

L’anno scorso mi sono messo ad “aggredire” la macchina biologica sforzandomi di essere presente a me stesso ogni qualvolta me ne ricordavo.

Avevo attaccato dei bigliettini per tutte le stanze della casa con su scritto “Presenza di Sè”, in modo tale che ogni volta che mi spostavo, mi ricordavo di applicare l’auto-osservazione.

Questa modalità funziona bene quando si è carichi e motivati, ma poi se non c’è una disciplina ferrea ed irremovibile, il nostro apparato psicofisico farà di tutto per controbattere e spegnere l’impulso originale.

Dopo un periodo molto intenso nell’applicare il ricordo di sé con questa modalità, l’impeto e la motivazione possono calare, se non c’è costanza e regolarità nell’applicare lo sforzo, nei momenti facili e nei momenti difficili.

Mi sono accorto che senza disciplina, tutto lo sforzo tende ad essere lentamente riassorbito dalle abitudini dell’apparato psicofisico.

Così ad un certo punto mi sono ritrovato ad attraversare le stanze di casa ignorando i bigliettini.

Cos’è successo? Semplicemente non avevo promesso a me stesso che avrei applicato uno sforzo costante senza se e senza ma, qualsiasi cosa accada.

Quando la macchina biologica viene attaccata in maniera troppo aggressiva, attiva dei meccanismi di difesa.

Così, l’impeto che usiamo per provare a sgretolare l’inconsapevolezza dei nostri comportamenti, se non supportato da una disciplina rigorosa anche nei momenti di “down”, ad un certo punto si esaurisce.

Ho deciso così di usare un unico esercizio per sviluppare il ricordo di sé: L’esercizio dei 5 minuti.

L’esercizio dei 5 minuti viene descritto in maniera semplice ed efficace da Salvatore Brizzi nel suo libro “La Via della Ricchezza”.

 

 

E’ un esercizio che inizialmente dura soltanto 5 minuti al giorno ma richiede una dedizione totale. In quei 5 minuti ci sforziamo con tutte le nostre energie di essere presenti, illudendo il nostro apparato psicofisico che sia soltanto una piccola innocua eccezione nel “sonno” in cui ci tiene per tutto il resto del tempo.

I risultati si ottengono poco alla volta, ma in maniera metodica e decisiva.

Qui sotto riporto l’estratto dell’esercizio dal libro di Brizzi.

 

5 MINUTI AL GIORNO

Tratto da “La Via della Ricchezza” di Salvatore Brizzi, Antipodi Edizioni

Questo esercizio – grazie all’applicazione costante e prolungata – vi consente di entrare in uno stato di coscienza superiore, il qui-e-ora, conosciuto anche come presenza, «ricordo di sé» o mindfulness.

Il principale segreto dei maghi e degli alchimisti – prima che tali scuole degenerassero – consisteva nel giungere al risveglio e all’apertura del Cuore attraverso il metodo del »ricordo di sé«, ossia la capacità di restare sempre presenti a se stessi, grazie a un particolare stato detto «attenzione divisa», nel quale una parte dell’attenzione è rivolta al mondo esterno come di consueto, ma una parte è rivolta a se stessi, alla percezione di sé.
Ecco perché si parla di «ricordo di sé». Potrete trovare validi approfondimenti nei libri indicati in bibliografia, in particolare in “Il miracolo della presenza mentale”, di Thich Nhat Hanh, “Il ricordo di sé” di Robert Earl Burton e nei miei due testi “Risveglio” e “La porta del mago”.

Lo sforzo di restare in uno stato di presenza produce ciò che viene metaforicamente chiamato “fuoco alchemico”, necessario affinché si verifichino delle trasformazioni profonde nella coscienza dell’individuo e vengano bruciati tutti quegli aspetti psicologici che non gli sono più utili. Stiamo parlando di una “via breve”, per cui necessariamente difficile e adatta a pochi. D’altronde vi avevo anticipato fin dalle prime righe che questo non sarebbe stato un libro innocuo. Le pratiche che invece adottano concentrazione e meditazione sono più semplici, ma, da sole, conducono agli stessi risultati solo in tempi molto, molto più lunghi.

Il ricordo di sé non usa mezzi termini: ti costringe a portare direttamente e forzosamente la tua auto-coscienza nella quotidianità.
Non lo si può spiegare a parole: lo si intuisce direttamente facendo gli esercizi. Si tratta di essere presenti qui-e-ora almeno in corrispondenza di determinate occasioni che vengono stabilite a priori. Un uomo risvegliato alla sua vera essenza è un uomo che si ricorda di sé sempre, è un uomo che è sempre presente qui-e-ora. Il >>ricordo di sé<< è infatti un livello di coscienza superiore che si può raggiungere solo sforzandosi di ricordarsi di sé!

Tu compi un atto (cammini, ti lavi i denti, fumi una sigaretta, guardi la televisione…) e mentre lo compi sei cosciente di essere tu a compierlo. Una parte della tua attenzione è rivolta all’atto che stai compiendo, mentre un’altra parte e questo fa la differenza rispetto
alla meditazione è rivolta a te, al tuo essere presente. Questa si chiama »attenzione divisa«. Per essere più chiaro: mentre sei al cinema a guardare un film, non ti abbandoni totalmente alle scene che si svolgono sotto i tuoi occhi, dimenticando te stesso, come accade a chiunque, ma ti sforzi di restare presente a te stesso, cioè di ricordarti che esisti, mentre continui a seguire la trama del film.

Il ricordo di sé« è il “terribile segreto” dell’Ars Regia che tutti gli alchimisti hanno sempre cercato e quasi nessuno ha mai trovato, poiché prima dell’avvento di Georges Gurdjieff veniva insegnato solo in scuole esoteriche alchemiche molto ben protette ed inaccessibili persino agli esperti. Lo stesso Gurdjieff è transitato per numerose prove prima di potervi accedere e divenire in grado di trasmetterlo ad altri. È il »regime«, l’»agente universale«, il FuocoFisso a cui la materia della psiche deve essere sottoposta per ottenere una trasformazione.

Premetto che l’effettivo stato di »ricordo di sé« è una particolare
condizione emotiva di serenità, benessere e apertura del Cuore, non
un fenomeno intellettuale. Qui stiamo parlando dello “sforzo” di ricordarsi di sé, ossia l’unico stato attualmente possibile per un neofita: uno stato ancora principalmente mentale, in cui ci si sforza di essere presenti per ricordarsi di sé. Attraverso gli sforzi ripetuti vi sarà però possibile attivare una nuova sfera della coscienza, che di norma è accessibile – anche se in maniera parziale e temporanea – solo grazie all’utilizzo di sostanze psicotrope, e quindi entrare nel reale »ricordo di sé« … e questo è il vostro scopo.

L’unico modo che avete per capire cosa è il »ricordo di sé« è fare
degli esercizi; esso non può venire compreso attraverso una spiegazione intellettuale, come se si trattasse d’un qualunque altro concetto filosofico. Attraverso il persistente sforzo teso al »ricordo di sé« si produce una trasmutazione alchemica nella coscienza del praticante, con importanti ricadute sul piano psicologico, nella sfera comportamentale e, di riflesso, nella creazione della realtà circostante.
Nei miei primi anni d’insegnamento l’esercizio che sto per proporvi durava 15 minuti, ma recentemente l’ho ridotto a soli 5 minuti, in quanto per la maggior parte delle persone risultava troppo dispersivo: non riuscivano a focalizzare le loro energie per un intero quarto d’ora.

Ho così constatato che 5 minuti fatti con la massima intensità sono molto più efficaci di 15 minuti condotti in maniera debole e discontinua. E’ un esercizio molto antico, apparteneva alle “vecchie volpi” che si annidavano nelle prime scuole esoteriche.
Si parte dal presupposto che troppo spesso l’individuo dissipa le sue energie svolgendo più esercizi e seguendo differenti vie.
Per acquisire un reale potere interiore, non potete seguire al contempo più linee di lavoro, passando da una all’altra dopo pochi mesi, scegliendo il prodotto più nuovo che trovate al supermercato della new-age. Se seguite la Via della Ricchezza, seguitela fino in fondo.
E questo vale per qualunque nuova via decidiate di intraprendere nei prossimi anni.

Per 5 minuti ogni giorno alla stessa ora, sforzatevi di restare presenti con tutte le vostre forze, qualunque cosa succeda. Quei 5 minuti devono diventare per voi il vostro Dio. Dovete vivere in funzione di quei 5 minuti quotidiani. Utilizzate un momento della vostra giornata che non si riveli né troppo complicato né troppo semplice per lo svolgimento dell’esercizio. Non fatelo quando sapete di dover sostenere riunioni di lavoro, ma neanche quando siete chiusi in casa da soli e con il telefono spento.

Nel corso della giornata presto svilupperete un forte desiderio di “essere presenti” e vi sentirete avviliti perché dovrete imporvi di non fare nulla al di fuori dei vostri 5 minuti quotidiani.
Avvilimento e frustrazione provocati dal dover confinare entro soli 5 minuti tutti gli
sforzi tesi a generare in voi lo stato di coscienza del qui-e-ora… dovrebbero far sorgere un senso di trepidazione e impazienza da coltivare accuratamente affinché i 5 minuti divengano ancora più potenti.
L’essere obbligati a non poter fare di più nell’arco della giornata, rende straordinariamente densi quei 5 minuti. Sfruttando questi sentimenti, sorti durante il giorno, potete “caricarvi” ancora di più in previsione dei vostri 5 minuti.

Costanza, regolarità, fermezza e determinazione vi rendono inesorabili anche se amorevoli – nei confronti del vostro apparato psicofisico, il quale deve comprendere in profondità, fin dal primo giorno, che non vi arrenderete mai. In fondo gli state chiedendo molto poco, ma glielo chiederete con maniacale regolarità…e questo produrrà risultati certi. Il frutto del lavoro di coloro che nel corso della storia hanno sfidato e vinto la meccanicità del loro apparato psicofisico, è sempre stato chiaro: la trasformazione di uomini e donne in maghi e maghe.

II mago e la maga sono persone serene, soddisfatte di sé, che
raggiungono obiettivi, vivono nell’abbondanza e nella prosperità e dedicano la loro vita ad aiutare gli altri. Se la vostra visione del mago è differente, forse è il caso che la rivediate.

Dopo un po’ di tempo – variabile da individuo a individuo, a tal punto da rendere totalmente inutile discuterne qui aggiungerete alla prima una seconda “finestra di risveglio”: 5 minuti, scelti in un momento della giornata distante dai 5 minuti precedenti. Attraverso azioni focalizzate e mirate vi aprirete dei varchi di consapevolezza in un territorio che di norma è dominato dal sonno psicologico. Se vi limitate a spazi così circoscritti (5 minuti), seppur estremamente intensi, l’apparato psicofisico non entrerà in uno stato di allarme e vi lascerà lavorare in maniera relativamente tranquilla. I vostri tentativi di acquisire padronanza del vostro corpo e della vostra mente – i vostri strumenti di lavoro – non desteranno i sospetti della “macchina biologica”, le sembreranno insignificanti, li sottovaluterà… e questo con il tempo vi consegnerà l’inevitabile vittoria.

 

Buon Lavoro,

Paolo Adel Danese

(-659)

La presenza

L'evento

La presenza è la cosa più importante che possiamo coltivare qui, ora.

E’ il tassello fondamentale per raggiungere quello stato della coscienza che viene denominato Risveglio.

Con tutti i contrasti, le difficoltà e le sfide che affrontiamo ogni giorno, non resta molto tempo per guardarsi allo specchio e chiedersi: Io chi sono? Esisto veramente? Mi sento esistere? Cosa sto facendo per sentirmi vivo ogni giorno un poco di più?

Ecco, se vogliamo dare una definizione alla “presenza”, dovremmo soffermarci sul semplice atto di auto-osservarci.

Guardare verso di sé, invece che fuori di sé. Sentire di esserci, di esistere, prima di proiettarci nella realtà che sta fuori di noi, nella dimenticanza di noi stessi.

 

La presenza

 

Il grosso problema è che ci identifichiamo con tutto ciò da cui i nostri sensi vengono attirati. Crediamo di sentirci vivi quando il nostro corpo reagisce a qualcosa di esterno, al punto da farci diventare letteralmente quella cosa.
Ci identifichiamo con le emozioni che ci abitano. Crediamo di sentirci vivi perché ci emozioniamo talmente tanto da arrivare a “perdere la testa”.

Ci identifichiamo con le idee e i pensieri che prendono forma nella nostra mente. Progetti falliscono e vengono dimenticati con la stessa rapidità con cui riceviamo le idee che li generano.

Il mondo fuori è uno spacciatore di droga per i nostri sensi che ci allieta, ci irrita, ci calma, ci fa perdere il controllo, ci fa odiare, amare, tirandoci da tutte le parti senza mai darci tregua.

E la testa ama metterci del suo e complicare ancora di più il tutto.

Tu vivi o credi di vivere?

Guardati intorno.

Il mondo è pieno di morti che credono di essere vivi.

Tu lo senti che esisti?

Dove sta il tuo centro, il tuo Essere, il tuo vero “Io”.

Chi dice “Io”, quando le tue labbra iniziano a pronunciare una frase?

Chi guarda fuori dagli occhi-finestre e rimane ammaliato e sgomento dal mondo, che un giorno ti fa innamorare e l’altro impazzire?

Dobbiamo cominciare ora, subito, ad osservarci esistere.

La mente diventa ciò che pensa, e di conseguenza, se ci identifichiamo con la mente, noi diventiamo ciò che pensiamo. E non possiamo fare altrimenti, perché fino ad ora siamo stati abituati così.

Aspetta un attimo, io ho anche un corpo, c’è dell’altro, non sono mica solo una testa…

Ma quando pensi, ti accorgi di avere un corpo? Sei consapevole della posizione che mantieni nello spazio quando la mente ti trascina nel suo flusso incessante di considerazioni, preoccupazioni, collegamenti casuali, giudizi, insinuazioni?

No.

Come può la mente giocarci questo brutto tiro?
Lo fa perché semplicemente non esiste.

La mente ci allontana dalla Vita ogni qualvolta le permettiamo di correre a briglie sciolte. E questo accade un numero incalcolabile di volte ogni giorno, ora, minuto, secondo.

E in verità quando ci sembra di vivere, di emozionarci, di essere nell’azione, che ci sembra di non pensare, perché magari siamo impegnati in qualcosa che ci appassiona e ci stimola talmente tanto che ci sembra che la testa si spenga….
Non ci siamo neppure lì. No, perché passiamo dall’identificarci con il pensiero ad un’altra forma di identificazione, le emozioni.

Ci siamo, siamo presenti? Magari ci sembra di essere più vivi, più euforici, ma è un qualcosa fuori che ci attrae come dei magneti e ci fa vibrare ad alta intensità finché ne siamo agganciati, e che poi ci fa cadere a terra quando non ce l’abbiamo più a disposizione, con tutte le conseguenze emotive del caso.
Dov’eravamo in quegli attimi di intensità emotiva? Cos’eravamo?

E’ come con i walkie talkie con cui giocavamo da piccoli. O parli o ascolti.
O ascolti la mente (e ti isoli dalla percezione del mondo), o ascolti il mondo (e ti allontani dalla percezione di te stesso, identificandoti con quello che entra in risonanza positiva o negativa con te là fuori).
Finché viviamo in stand-by, funzioniamo così. Finché non ci identifichiamo con il nostro Essere, la nostra Anima, la mente ne usurpa il trono che dovrebbe occupare di diritto, ma siccome la mente non esiste, ogni qualvolta la ascoltiamo, ci identifichiamo con essa e smettiamo di esistere pure noi!

La mente è irreale. Il mondo esteriore è irreale (nella misura in cui è il prodotto delle proiezioni di una mente altrettanto non reale).
Il corpo è reale. E la presenza passa necessariamente dall’osservazione di ciò che di vero possediamo.
Finché non si prende consapevolezza di esserci, di esistere, non si vive veramente.

E’ una cosa difficile da mettere in pratica. Ma è la cosa più importante che possiamo iniziare a fare ora, se vogliamo essere pronti, vigili per l’Evento che verrà.
La cosa più importante che possiamo fare per prepararci, è di cominciare ad accorgerci di esistere.
Di essere qui, ora, con un apparato psicofisico che agisce ancora in maniera automatica.
Con la mente che sfrutta le debolezze del corpo per manipolarci, ricattarci, fare i capricci. Proprio non ne vuole sapere di sottostare alla nostra volontà di Anime immortali.

Il corpo si stanca, si ammala, desidera, si attacca a dipendenze di ogni tipo.

Ci sono infiniti modi con cui il corpo e la mente ci distraggono dallo stato che dovrebbe essere naturale, che è quello di essere presenti a noi stessi, qui, ora.

 

 

Ti sei mai osservato allo specchio senza lo specchio?

Devi percepire di esistere, tutto qua. E non puoi farlo mentre pensi, perché la mente non esiste. Se ti identifichi con la mente, ti identifichi con qualcosa che non esiste.
Assurdo vero? Ma è proprio così.
Non la puoi sentire la mente. La senti parlare, ma non la puoi sentire esistere. C’è, ma non la percepisci.
Ogni volta che la mente pensa, è come se la realtà andasse in stand-by.

Se sei uno che pensa continuamente, stai passando la maggior parte del tempo ad ascoltare e a farti guidare da una cosa che non esiste.

Ma allora cosa significa accorgersi di esistere?
Vuol dire rendersi conto di avere un corpo fisico che interagisce con un mondo altrettanto fisico. (che in realtà il mondo fisico sia fatto di energia e vibrazione è un’altro paio di maniche. La consapevolezza corporea di esserci necessariamente ti richiede di sospendere l’idea che la materia sia un illusione. In poche parole, devi “credere” nell’illusione quel tanto che serve per poterla trascendere.

Il corpo fisico è la nostra “messa a terra” nella dimensione materiale. Quello che siamo aldilà della dimensione materiale fa fatica ad esprimersi in modo efficace finché questa nostra messa a terra, il nostro corpo fisico, si ribella alla volontà dell’Anima e non agisce in accordo con essa.

Tutto ciò che l’Anima può fare all’inizio per recuperare il dominio, è farsi strada tra gli impulsi del corpo e il dialogo incessante della mente e posizionarsi nel mezzo come osservatore silenzioso.

Questo attiva un circuito, che all’inizio è debole, faticoso da mantenere anche solo per qualche istante, ma dopo che inizia a diventare una forma di consapevolezza corporea, provoca una rivitalizzazione, una riconnessione alla fonte energetica della Vita, attraverso il cuore.

La presenza, messa in atto dall’osservatore silenzioso – l’Anima – è la parte mancante del circuito.

Finché manca questa componente, è come se il circuito funzionasse in modalità stand-by. “Come se” funzionasse.

Una volta inserito il vecchio-nuovo componente, il sistema inizia a brillare veramente per la prima volta. Comincia ad emettere luce, energia, calore invece di doverla assorbire da fuori. Non è più una lampadina attaccata in serie ad una batteria.
No, è una lampadina che produce energia in maniera autonoma, perché è collegata direttamente alla fonte, alla Vita. Non ha bisogno di collegamenti, cavi, batterie, trasformatori, centrali. Anzi, produce persino energia in eccesso che può donare e condividere con gli altri, o utilizzare per concretizzare nel mondo progetti nuovi ed ispirati.

C’è molto di più del mondo fisico, è vero, ma all’atto pratico in questo momento è più urgente il sentirsi esistere qui, nella materia.

Finché c’è un mondo fisico, noi abbiamo un corpo fisico, che ci serve per essere ed agire a questo livello di realtà.

Se sbilanciamo la nostra attenzione, il nostro focus verso il mondo immateriale, l’aldilà, non facciamo altro che rimandare il momento in cui ci verrà richiesto di diventare presenti e consapevoli anche nell’aldiquà, magari complicandoci ulteriormente la vita in uno spazio-tempo più stressante di quello attuale. Meglio di no!

E se non iniziamo a mettere in pratica lo sforzo in un momento di calma relativa, sarà molto più difficile farlo nel pieno della tempesta.

E’ una cosa che dobbiamo fare ORA. E’ una cosa che dobbiamo fare prima di tutto il resto.
E’ LA priorità.

(-694)

Paolo Adel Danese