-Hai mai avuto la sensazione di non sentirti veramente a casa su questo pianeta?
-Il tuo cuore ti dice che non solo la Terra, ma anche la Galassia e l’Universo intero pulsano di vita?
-Credi che la tecnologia dovrebbe tornare ad essere la manifestazione naturale di abilità che già possediamo dentro di noi e che col tempo abbiamo dimenticato?
-Senti che per (una parte) di umanità è arrivato il momento di fare un grande balzo oltre il conosciuto?
Nell’insicurezza e nella polarizzazione del mondo attuale, all’orizzonte si profila un evento spirituale globale che toccherà profondamente tutti coloro che saranno sintonizzati sulla stessa frequenza, la frequenza dell’Amore.
Partendo dall’evoluta concezione ciclica del tempo che avevano i Maya, esploreremo i segnali che ci indicano l’apertura di una finestra di opportunità, di un varco che si manifesterà entro qualche anno.
Scopriremo come questa finestra temporale sia sempre stata codificata nella trama matematica del tempo.
Vedremo come altre testimonianze in epoche e civiltà differenti, dal passato fino al presente, puntino verso l’imminente manifestazione di questo Evento.
Ci interrogheremo infine su quali sono le possibili implicazioni di quest’ultimo come esperienza interiore e fenomeno collettivo, e discuteremo delle strategie da mettere in atto per attraversare questo portale nell’autenticità della nostra Anima.
Paolo Adel Danese è un artista e studioso della natura evolutiva del Tempo.
Affianca l’attività creativa alla crescita personale e all’alchimia interiore.
Approfondisce lo studio dello Tzolkin, il calendario sacro Maya e il Dreamspell – Sincronario Galattico. Pratica la guarigione energetica (Reiki).
Il Risveglio è uno stato di coscienza superiore in cui il costante ricordarsi di sé provoca un apertura del cuore ed una sensazione di serenità e benessere che sgorga dall’interno.
E’ uno stato di grazia, non si raggiunge o si conquista.
Ci si tende attraverso lo sforzo continuo del ricordo di sè, sperimentandolo anche in maniera temporanea o parziale, prima che diventi uno stato abituale dell’essere.
Per raggiungere questo stato esistono molteplici vie, ma qui parleremo di quella più rapida, la “via breve”. Questa via presuppone un lavoro ed un impegno costante per ricordarsi di sé nei momenti di vita quotidiana.
A differenza di pratiche come la meditazione, lo sforzo per ricordarsi di sé si applica durante le attività di ogni giorno. Non ci si isola dal mondo, ma si usa l’esperienza nel mondo per far emergere la consapevolezza di esistere.
La difficoltà nello sforzarsi di essere presenti a sé stessi all’interno di situazioni non ideali la rende una pratica difficile ma anche più rapida.
La disciplina continua nell’applicare lo sforzo di ricordarsi di sé, provoca inevitabilmente una trasformazione interiore dei meccanismi automatici che il nostro apparato psicofisico manifesta ininterrottamente ogni giorno.
Esistono vari semplici esercizi per iniziare ad applicare il ricordo di sé nella vita quotidiana.
Salvatore Brizzi nel suo libro “Risveglio” ne descrive diversi.
Ovviamente parliamo di sforzo verso, non dello stato di presenza di sé. E’ il tendere verso lo stato di presenza, lo sforzo, che rende concreta la trasformazione dei nostri meccanismi automatici. Ma lo stato di presenza, superata la necessità di sforzarsi per mantenerlo, diventa una condizione naturale perché non è mentale, ma relativa all’apertura del cuore e della sua connessione naturale con la Vita.
Nella mia esperienza, in vari momenti e periodi, ho trovato lo spazio e la disciplina per sperimentare ed applicare alcuni di essi.
L’anno scorso mi sono messo ad “aggredire” la macchina biologica sforzandomi di essere presente a me stesso ogni qualvolta me ne ricordavo.
Avevo attaccato dei bigliettini per tutte le stanze della casa con su scritto “Presenza di Sè”, in modo tale che ogni volta che mi spostavo, mi ricordavo di applicare l’auto-osservazione.
Questa modalità funziona bene quando si è carichi e motivati, ma poi se non c’è una disciplina ferrea ed irremovibile, il nostro apparato psicofisico farà di tutto per controbattere e spegnere l’impulso originale.
Dopo un periodo molto intenso nell’applicare il ricordo di sé con questa modalità, l’impeto e la motivazione possono calare, se non c’è costanza e regolarità nell’applicare lo sforzo, nei momenti facili e nei momenti difficili.
Mi sono accorto che senza disciplina, tutto lo sforzo tende ad essere lentamente riassorbito dalle abitudini dell’apparato psicofisico.
Così ad un certo punto mi sono ritrovato ad attraversare le stanze di casa ignorando i bigliettini.
Cos’è successo? Semplicemente non avevo promesso a me stesso che avrei applicato uno sforzo costante senza se e senza ma, qualsiasi cosa accada.
Quando la macchina biologica viene attaccata in maniera troppo aggressiva, attiva dei meccanismi di difesa.
Così, l’impeto che usiamo per provare a sgretolare l’inconsapevolezza dei nostri comportamenti, se non supportato da una disciplina rigorosa anche nei momenti di “down”, ad un certo punto si esaurisce.
Ho deciso così di usare un unico esercizio per sviluppare il ricordo di sé: L’esercizio dei 5 minuti.
L’esercizio dei 5 minuti viene descritto in maniera semplice ed efficace da Salvatore Brizzi nel suo libro “La Via della Ricchezza”.
E’ un esercizio che inizialmente dura soltanto 5 minuti al giorno ma richiede una dedizione totale. In quei 5 minuti ci sforziamo con tutte le nostre energie di essere presenti, illudendo il nostro apparato psicofisico che sia soltanto una piccola innocua eccezione nel “sonno” in cui ci tiene per tutto il resto del tempo.
I risultati si ottengono poco alla volta, ma in maniera metodica e decisiva.
Qui sotto riporto l’estratto dell’esercizio dal libro di Brizzi.
5 MINUTI AL GIORNO
Tratto da “La Via della Ricchezza” di Salvatore Brizzi, Antipodi Edizioni
Questo esercizio – grazie all’applicazione costante e prolungata – vi consente di entrare in uno stato di coscienza superiore, il qui-e-ora, conosciuto anche come presenza, «ricordo di sé» o mindfulness.
Il principale segreto dei maghi e degli alchimisti – prima che tali scuole degenerassero – consisteva nel giungere al risveglio e all’apertura del Cuore attraverso il metodo del »ricordo di sé«, ossia la capacità di restare sempre presenti a se stessi, grazie a un particolare stato detto «attenzione divisa», nel quale una parte dell’attenzione è rivolta al mondo esterno come di consueto, ma una parte è rivolta a se stessi, alla percezione di sé.
Ecco perché si parla di «ricordo di sé». Potrete trovare validi approfondimenti nei libri indicati in bibliografia, in particolare in “Il miracolo della presenza mentale”, di Thich Nhat Hanh, “Il ricordo di sé” di Robert Earl Burton e nei miei due testi “Risveglio” e “La porta del mago”.
Lo sforzo di restare in uno stato di presenza produce ciò che viene metaforicamente chiamato “fuoco alchemico”, necessario affinché si verifichino delle trasformazioni profonde nella coscienza dell’individuo e vengano bruciati tutti quegli aspetti psicologici che non gli sono più utili. Stiamo parlando di una “via breve”, per cui necessariamente difficile e adatta a pochi. D’altronde vi avevo anticipato fin dalle prime righe che questo non sarebbe stato un libro innocuo. Le pratiche che invece adottano concentrazione e meditazione sono più semplici, ma, da sole, conducono agli stessi risultati solo in tempi molto, molto più lunghi.
Il ricordo di sé non usa mezzi termini: ti costringe a portare direttamente e forzosamente la tua auto-coscienza nella quotidianità.
Non lo si può spiegare a parole: lo si intuisce direttamente facendo gli esercizi. Si tratta di essere presenti qui-e-ora almeno in corrispondenza di determinate occasioni che vengono stabilite a priori. Un uomo risvegliato alla sua vera essenza è un uomo che si ricorda di sé sempre, è un uomo che è sempre presente qui-e-ora. Il >>ricordo di sé<< è infatti un livello di coscienza superiore che si può raggiungere solo sforzandosi di ricordarsi di sé!
Tu compi un atto (cammini, ti lavi i denti, fumi una sigaretta, guardi la televisione…) e mentre lo compi sei cosciente di essere tu a compierlo. Una parte della tua attenzione è rivolta all’atto che stai compiendo, mentre un’altra parte e questo fa la differenza rispetto
alla meditazione è rivolta a te, al tuo essere presente. Questa si chiama »attenzione divisa«. Per essere più chiaro: mentre sei al cinema a guardare un film, non ti abbandoni totalmente alle scene che si svolgono sotto i tuoi occhi, dimenticando te stesso, come accade a chiunque, ma ti sforzi di restare presente a te stesso, cioè di ricordarti che esisti, mentre continui a seguire la trama del film.
Il ricordo di sé« è il “terribile segreto” dell’Ars Regia che tutti gli alchimisti hanno sempre cercato e quasi nessuno ha mai trovato, poiché prima dell’avvento di Georges Gurdjieff veniva insegnato solo in scuole esoteriche alchemiche molto ben protette ed inaccessibili persino agli esperti. Lo stesso Gurdjieff è transitato per numerose prove prima di potervi accedere e divenire in grado di trasmetterlo ad altri. È il »regime«, l’»agente universale«, il FuocoFisso a cui la materia della psiche deve essere sottoposta per ottenere una trasformazione.
Premetto che l’effettivo stato di »ricordo di sé« è una particolare
condizione emotiva di serenità, benessere e apertura del Cuore, non
un fenomeno intellettuale. Qui stiamo parlando dello “sforzo” di ricordarsi di sé, ossia l’unico stato attualmente possibile per un neofita: uno stato ancora principalmente mentale, in cui ci si sforza di essere presenti per ricordarsi di sé. Attraverso gli sforzi ripetuti vi sarà però possibile attivare una nuova sfera della coscienza, che di norma è accessibile – anche se in maniera parziale e temporanea – solo grazie all’utilizzo di sostanze psicotrope, e quindi entrare nel reale »ricordo di sé« … e questo è il vostro scopo.
L’unico modo che avete per capire cosa è il »ricordo di sé« è fare
degli esercizi; esso non può venire compreso attraverso una spiegazione intellettuale, come se si trattasse d’un qualunque altro concetto filosofico. Attraverso il persistente sforzo teso al »ricordo di sé« si produce una trasmutazione alchemica nella coscienza del praticante, con importanti ricadute sul piano psicologico, nella sfera comportamentale e, di riflesso, nella creazione della realtà circostante.
Nei miei primi anni d’insegnamento l’esercizio che sto per proporvi durava 15 minuti, ma recentemente l’ho ridotto a soli 5 minuti, in quanto per la maggior parte delle persone risultava troppo dispersivo: non riuscivano a focalizzare le loro energie per un intero quarto d’ora.
Ho così constatato che 5 minuti fatti con la massima intensità sono molto più efficaci di 15 minuti condotti in maniera debole e discontinua. E’ un esercizio molto antico, apparteneva alle “vecchie volpi” che si annidavano nelle prime scuole esoteriche.
Si parte dal presupposto che troppo spesso l’individuo dissipa le sue energie svolgendo più esercizi e seguendo differenti vie.
Per acquisire un reale potere interiore, non potete seguire al contempo più linee di lavoro, passando da una all’altra dopo pochi mesi, scegliendo il prodotto più nuovo che trovate al supermercato della new-age. Se seguite la Via della Ricchezza, seguitela fino in fondo.
E questo vale per qualunque nuova via decidiate di intraprendere nei prossimi anni.
Per 5 minuti ogni giorno alla stessa ora, sforzatevi di restare presenti con tutte le vostre forze, qualunque cosa succeda. Quei 5 minuti devono diventare per voi il vostro Dio. Dovete vivere in funzione di quei 5 minuti quotidiani. Utilizzate un momento della vostra giornata che non si riveli né troppo complicato né troppo semplice per lo svolgimento dell’esercizio. Non fatelo quando sapete di dover sostenere riunioni di lavoro, ma neanche quando siete chiusi in casa da soli e con il telefono spento.
Nel corso della giornata presto svilupperete un forte desiderio di “essere presenti” e vi sentirete avviliti perché dovrete imporvi di non fare nulla al di fuori dei vostri 5 minuti quotidiani.
Avvilimento e frustrazione provocati dal dover confinare entro soli 5 minuti tutti gli
sforzi tesi a generare in voi lo stato di coscienza del qui-e-ora… dovrebbero far sorgere un senso di trepidazione e impazienza da coltivare accuratamente affinché i 5 minuti divengano ancora più potenti.
L’essere obbligati a non poter fare di più nell’arco della giornata, rende straordinariamente densi quei 5 minuti. Sfruttando questi sentimenti, sorti durante il giorno, potete “caricarvi” ancora di più in previsione dei vostri 5 minuti.
Costanza, regolarità, fermezza e determinazione vi rendono inesorabili anche se amorevoli – nei confronti del vostro apparato psicofisico, il quale deve comprendere in profondità, fin dal primo giorno, che non vi arrenderete mai. In fondo gli state chiedendo molto poco, ma glielo chiederete con maniacale regolarità…e questo produrrà risultati certi. Il frutto del lavoro di coloro che nel corso della storia hanno sfidato e vinto la meccanicità del loro apparato psicofisico, è sempre stato chiaro: la trasformazione di uomini e donne in maghi e maghe.
II mago e la maga sono persone serene, soddisfatte di sé, che
raggiungono obiettivi, vivono nell’abbondanza e nella prosperità e dedicano la loro vita ad aiutare gli altri. Se la vostra visione del mago è differente, forse è il caso che la rivediate.
Dopo un po’ di tempo – variabile da individuo a individuo, a tal punto da rendere totalmente inutile discuterne qui aggiungerete alla prima una seconda “finestra di risveglio”: 5 minuti, scelti in un momento della giornata distante dai 5 minuti precedenti. Attraverso azioni focalizzate e mirate vi aprirete dei varchi di consapevolezza in un territorio che di norma è dominato dal sonno psicologico. Se vi limitate a spazi così circoscritti (5 minuti), seppur estremamente intensi, l’apparato psicofisico non entrerà in uno stato di allarme e vi lascerà lavorare in maniera relativamente tranquilla. I vostri tentativi di acquisire padronanza del vostro corpo e della vostra mente – i vostri strumenti di lavoro – non desteranno i sospetti della “macchina biologica”, le sembreranno insignificanti, li sottovaluterà… e questo con il tempo vi consegnerà l’inevitabile vittoria.
Come conciliare lo stare nel qui ed ora, con un obiettivo proiettato nel futuro?
Spesso sentiamo parlare di vivere nel presente. Ma com’è che riusciamo poi a costruire, modellare la nostra vita se non proiettiamo intenzioni, progetti, visioni, azioni concrete nel futuro, che secondo i grandi saggi, come il passato, in realtà non esiste?
Io ho sempre avuto problemi con le agende e la pianificazione del tempo.
Il mio insegnante di Reiki, una volta, chiese al gruppo dei presenti se usassero il calendario o l’agenda per pianificare la loro vita. Bene o male tutti risposero affermativamente. Io dentro di me mi sentivo la pecora nera, ma ho preso la parola e detto che io no, non lo facevo. Mi ha risposto: “Bravo!”
Sono rimasto un po’ interdetto, e lo sono ancora. Perché il fatto di non pianificare l’ho sempre vissuto come una debolezza, più che come una virtù.
Un agenda piena, fitta di impegni ed orari mi fa paura.
Certo, da una parte c’è la libertà. Ma dall’altra c’è una forma di inerzia che fa dipendere quello che ti succede nella vita, non da quello che tu programmi, ma da quello che ti arriva spontaneamente e senza fare la fatica di andartelo a prendere.
Il cosiddetto stare nel flusso. Non è che in realtà significhi “non ho la forza, la volontà o il coraggio di muovere le mie pedine sullo scacchiere della vita in divenire, che è il futuro, perciò lascio che lo faccia qualcun’altro al posto mio?
Sono domande che mi sono spesso posto e che continuo a pormi.
C’è un modo per conciliare il vivere nel momento e il creare costruttivamente la propria dimensione di vita?
Il futuro non è altro che la terra su cui piantiamo i nostri semi (in forma di intenzioni, idee, propositi, obiettivi, traguardi).
Quali semi lanciamo dipende da chi fa il contadino. Se è l’Anima a guidare la semina, allora la mente si occuperà di ciò che sa fare meglio, cioè strutturare, misurare, quantificare, pianificare una strategia per portare il processo creativo dall’idea al progetto concreto.
Perché come abbiamo già detto in un post precedente, la mente non esiste. E se anche il futuro non esiste, allora quello è il territorio in cui la mente eccelle!
Però se non c’è l’Anima a guidare la mano che semina, la mente si occuperà di tutto, prendendo spunto dai meccanismi e dalle abitudini che conosce già, riproponendo i loop e le dinamiche già note.
Quello che possiamo fare, ora, in prospettiva dell’evento futuro è di sentire, sentirci già nella presenza totale con tutte le nostre fibre, con tutto il nostro Essere, come se stessimo già vivendo in quello stato.
Nel caso dell’Evento, non è ancora ben chiaro cosa il mondo raccoglierà quel giorno.
Ma noi abbiamo deciso di piantare il seme della presenza, ora, con l’intento che metta radici e che il 26 Agosto 2026 sia diventato nel frattempo una bella piantina rigogliosa.
Qualche anno fa lavoravo saltuariamente come rider per Deliveroo, il servizio di food delivery. Durante il periodo del Covid, quando è partito, era ancora appena accettabile. Ora è diventato il prototipo della schiavitù tecnocratica del futuro.
Devi fare un selfie ogni giorno per confermare che sei “tu”, sei tracciato in ogni spostamento che fai, è l’unico lavoro in cui i guadagni diminuiscono invece di crescere nel tempo, devi confermare codici 3 o 4 volte ad ogni consegna per… poi finire a litigare con gli altri sfruttati del McDonalds che sono perennemente in ritardo nella consegna degli ordini.
Lo svolgevo in auto, ma in quel periodo non stavo lavorando sulla presenza. Passavo molto tempo guidando, ascoltando musica elettronica ad alti BPM per sfrecciare più veloce e consegnare più ordini (link youtube). Insomma, mi stavo imbruttendo parecchio, ma non me ne rendevo ancora conto.
Poi un giorno, improvvisamente, mentre stavo al volante, ho realizzato qualcosa di tragico ed illuminante allo stesso tempo. Per un attimo sono riuscito ad auto-osservarmi.
Ad uscire dal flusso del pensiero, che prima di quel momento scorreva sempre impetuoso, soprattutto quando guidavo.
In quel periodo facevo un sacco di pensieri metafisici.
La mia mente andava in sovraccarico ogni giorno pensando alle modalità per uscire dall’illusione attraverso salti temporali e portali quantistici.
A momenti pensavo così intensamente che sentivo dolore al cervello. Non mal di testa, ma dolore provocato dall’intensità del pensiero.
Godevo delle possibilità illimitate della mente, della sua capacità di considerare l’inconcepibile, dei collegamenti concettuali che mi facevano venire più brividi ed emozioni di un giro alle montagne russe di Gardaland. Gustavo la sua apparente potenza, la sua sconfinata creatività, l’essere senza limiti, senza dimensioni, senza confini.
La mente a briglia sciolta, che crea, immagina, collega, si esalta.
Consideravo i pensieri che avevo come geniali, belli, visionari, avanzati. E in questo modo ne giustificavo l’esistenza, anche se il modo con cui si manifestavano era privo di focus e strategia.
Sembravano avere tutti un volume assordante.
Ma quel giorno in auto, ho avuto una realizzazione.
Non un pensiero. Non un idea. No, è stata una pausa, un barlume di luce silenzioso in quel fiume in piena incessante.
Per un attimo sono uscito da chi o cosa credevo di essere.
Poi ho semplicemente osservato. Anzi, ho contato.
Ho lasciato che il flusso dei pensieri ricominciasse, ma stavolta contando con le dita della mano tutti quelli che giungevano alla mente senza che me ne rendessi conto.
Dopo qualche minuto così, una parte di me è inorridita. Ne stavo contando a decine. Senza fermarli. Senza fare nulla. Semplicemente tenendo il conto.
L’altra parte di me continuava imperterrita a pensare di essere filosofica, intelligente, evoluta, a collegare senza sosta e senza misura. Quella appena emersa silenziosamente era incredula, ma anche eccitata da quello che stava accadendo. Una costantemente rifletteva e cercava porte, aperture, limiti da sfondare attraverso il pensiero. Non si rendeva conto che quella era la sua prigione, in realtà.
Ma quell’altra che contava in silenzio tra l’esterrefatto e il divertito stava in verità aprendo una breccia, un varco in quella gabbia fatta di pareti invisibili.
Il divertimento non durò molto.
Già da un po’ mi sentivo strano, quella sera. Ma questo non fermò quella parte di me che aveva svelato il giochino. Ora era stato smascherato e nulla sarebbe stato più come prima.
Ancora al volante, ho cominciato a sentire dei brividi di freddo. Probabilmente mi stava venendo la febbre. Erano brividi forti. Anzi, erano degli scossoni. E stavano diventando talmente intensi che ho dovuto tornarmene a casa in fretta perché guidare così poteva diventare pericoloso.
Sono arrivato tremante e sconvolto da vibrazioni intensissime di fronte all’ingresso di casa, e con fatica sono riuscito a rientrare. L’unica cosa che riuscii a fare è stata di buttarmi sotto le coperte, e stare lì come un pesce che si dimena e si scuote fuori dall’acqua, in preda ad un raptus, come se gli avessero letteralmente tolto l’ossigeno.
Ecco, credo che quella sera sia successo esattamente questo alla mia mente: ho provato a sottrarle il nutrimento e lei in panico ha attivato le sue contromisure corporee facendomi ammalare e andare in stand-by in tempo record.
Per la mente era meglio mettermi KO piuttosto che stare lì e venire smascherata impunemente.
Quella notte la mia mente, in preda anche allo stato febbrile del corpo, non ha smesso di agitarsi. Ma non poteva durare molto.
Dal giorno successivo è ricominciata inesorabile la conta.
La presenza è la cosa più importante che possiamo coltivare qui, ora.
E’ il tassello fondamentale per raggiungere quello stato della coscienza che viene denominato Risveglio.
Con tutti i contrasti, le difficoltà e le sfide che affrontiamo ogni giorno, non resta molto tempo per guardarsi allo specchio e chiedersi: Io chi sono? Esisto veramente? Mi sento esistere? Cosa sto facendo per sentirmi vivo ogni giorno un poco di più?
Ecco, se vogliamo dare una definizione alla “presenza”, dovremmo soffermarci sul semplice atto di auto-osservarci.
Guardare verso di sé, invece che fuori di sé. Sentire di esserci, di esistere, prima di proiettarci nella realtà che sta fuori di noi, nella dimenticanza di noi stessi.
Il grosso problema è che ci identifichiamo con tutto ciò da cui i nostri sensi vengono attirati. Crediamo di sentirci vivi quando il nostro corpo reagisce a qualcosa di esterno, al punto da farci diventare letteralmente quella cosa.
Ci identifichiamo con le emozioni che ci abitano. Crediamo di sentirci vivi perché ci emozioniamo talmente tanto da arrivare a “perdere la testa”.
Ci identifichiamo con le idee e i pensieri che prendono forma nella nostra mente. Progetti falliscono e vengono dimenticati con la stessa rapidità con cui riceviamo le idee che li generano.
Il mondo fuori è uno spacciatore di droga per i nostri sensi che ci allieta, ci irrita, ci calma, ci fa perdere il controllo, ci fa odiare, amare, tirandoci da tutte le parti senza mai darci tregua.
E la testa ama metterci del suo e complicare ancora di più il tutto.
Tu vivi o credi di vivere?
Guardati intorno.
Il mondo è pieno di morti che credono di essere vivi.
Tu lo senti che esisti?
Dove sta il tuo centro, il tuo Essere, il tuo vero “Io”.
Chi dice “Io”, quando le tue labbra iniziano a pronunciare una frase?
Chi guarda fuori dagli occhi-finestre e rimane ammaliato e sgomento dal mondo, che un giorno ti fa innamorare e l’altro impazzire?
Dobbiamo cominciare ora, subito, ad osservarci esistere.
La mente diventa ciò che pensa, e di conseguenza, se ci identifichiamo con la mente, noi diventiamo ciò che pensiamo. E non possiamo fare altrimenti, perché fino ad ora siamo stati abituati così.
Aspetta un attimo, io ho anche un corpo, c’è dell’altro, non sono mica solo una testa…
Ma quando pensi, ti accorgi di avere un corpo? Sei consapevole della posizione che mantieni nello spazio quando la mente ti trascina nel suo flusso incessante di considerazioni, preoccupazioni, collegamenti casuali, giudizi, insinuazioni?
No.
Come può la mente giocarci questo brutto tiro?
Lo fa perché semplicemente non esiste.
La mente ci allontana dalla Vita ogni qualvolta le permettiamo di correre a briglie sciolte. E questo accade un numero incalcolabile di volte ogni giorno, ora, minuto, secondo.
E in verità quando ci sembra di vivere, di emozionarci, di essere nell’azione, che ci sembra di non pensare, perché magari siamo impegnati in qualcosa che ci appassiona e ci stimola talmente tanto che ci sembra che la testa si spenga….
Non ci siamo neppure lì. No, perché passiamo dall’identificarci con il pensiero ad un’altra forma di identificazione, le emozioni.
Ci siamo, siamo presenti? Magari ci sembra di essere più vivi, più euforici, ma è un qualcosa fuori che ci attrae come dei magneti e ci fa vibrare ad alta intensità finché ne siamo agganciati, e che poi ci fa cadere a terra quando non ce l’abbiamo più a disposizione, con tutte le conseguenze emotive del caso.
Dov’eravamo in quegli attimi di intensità emotiva? Cos’eravamo?
E’ come con i walkie talkie con cui giocavamo da piccoli. O parli o ascolti.
O ascolti la mente (e ti isoli dalla percezione del mondo), o ascolti il mondo (e ti allontani dalla percezione di te stesso, identificandoti con quello che entra in risonanza positiva o negativa con te là fuori).
Finché viviamo in stand-by, funzioniamo così. Finché non ci identifichiamo con il nostro Essere, la nostra Anima, la mente ne usurpa il trono che dovrebbe occupare di diritto, ma siccome la mente non esiste, ogni qualvolta la ascoltiamo, ci identifichiamo con essa e smettiamo di esistere pure noi!
La mente è irreale. Il mondo esteriore è irreale (nella misura in cui è il prodotto delle proiezioni di una mente altrettanto non reale).
Il corpo è reale. E la presenza passa necessariamente dall’osservazione di ciò che di vero possediamo.
Finché non si prende consapevolezza di esserci, di esistere, non si vive veramente.
E’ una cosa difficile da mettere in pratica. Ma è la cosa più importante che possiamo iniziare a fare ora, se vogliamo essere pronti, vigili per l’Evento che verrà.
La cosa più importante che possiamo fare per prepararci, è di cominciare ad accorgerci di esistere.
Di essere qui, ora, con un apparato psicofisico che agisce ancora in maniera automatica.
Con la mente che sfrutta le debolezze del corpo per manipolarci, ricattarci, fare i capricci. Proprio non ne vuole sapere di sottostare alla nostra volontà di Anime immortali.
Il corpo si stanca, si ammala, desidera, si attacca a dipendenze di ogni tipo.
Ci sono infiniti modi con cui il corpo e la mente ci distraggono dallo stato che dovrebbe essere naturale, che è quello di essere presenti a noi stessi, qui, ora.
Ti sei mai osservato allo specchio senza lo specchio?
Devi percepire di esistere, tutto qua. E non puoi farlo mentre pensi, perché la mente non esiste. Se ti identifichi con la mente, ti identifichi con qualcosa che non esiste.
Assurdo vero? Ma è proprio così.
Non la puoi sentire la mente. La senti parlare, ma non la puoi sentire esistere. C’è, ma non la percepisci.
Ogni volta che la mente pensa, è come se la realtà andasse in stand-by.
Se sei uno che pensa continuamente, stai passando la maggior parte del tempo ad ascoltare e a farti guidare da una cosa che non esiste.
Ma allora cosa significa accorgersi di esistere?
Vuol dire rendersi conto di avere un corpo fisico che interagisce con un mondo altrettanto fisico. (che in realtà il mondo fisico sia fatto di energia e vibrazione è un’altro paio di maniche. La consapevolezza corporea di esserci necessariamente ti richiede di sospendere l’idea che la materia sia un illusione. In poche parole, devi “credere” nell’illusione quel tanto che serve per poterla trascendere.
Il corpo fisico è la nostra “messa a terra” nella dimensione materiale. Quello che siamo aldilà della dimensione materiale fa fatica ad esprimersi in modo efficace finché questa nostra messa a terra, il nostro corpo fisico, si ribella alla volontà dell’Anima e non agisce in accordo con essa.
Tutto ciò che l’Anima può fare all’inizio per recuperare il dominio, è farsi strada tra gli impulsi del corpo e il dialogo incessante della mente e posizionarsi nel mezzo come osservatore silenzioso.
Questo attiva un circuito, che all’inizio è debole, faticoso da mantenere anche solo per qualche istante, ma dopo che inizia a diventare una forma di consapevolezza corporea, provoca una rivitalizzazione, una riconnessione alla fonte energetica della Vita, attraverso il cuore.
La presenza, messa in atto dall’osservatore silenzioso – l’Anima – è la parte mancante del circuito.
Finché manca questa componente, è come se il circuito funzionasse in modalità stand-by. “Come se” funzionasse.
Una volta inserito il vecchio-nuovo componente, il sistema inizia a brillare veramente per la prima volta. Comincia ad emettere luce, energia, calore invece di doverla assorbire da fuori. Non è più una lampadina attaccata in serie ad una batteria.
No, è una lampadina che produce energia in maniera autonoma, perché è collegata direttamente alla fonte, alla Vita. Non ha bisogno di collegamenti, cavi, batterie, trasformatori, centrali. Anzi, produce persino energia in eccesso che può donare e condividere con gli altri, o utilizzare per concretizzare nel mondo progetti nuovi ed ispirati.
C’è molto di più del mondo fisico, è vero, ma all’atto pratico in questo momento è più urgente il sentirsi esistere qui, nella materia.
Finché c’è un mondo fisico, noi abbiamo un corpo fisico, che ci serve per essere ed agire a questo livello di realtà.
Se sbilanciamo la nostra attenzione, il nostro focus verso il mondo immateriale, l’aldilà, non facciamo altro che rimandare il momento in cui ci verrà richiesto di diventare presenti e consapevoli anche nell’aldiquà, magari complicandoci ulteriormente la vita in uno spazio-tempo più stressante di quello attuale. Meglio di no!
E se non iniziamo a mettere in pratica lo sforzo in un momento di calma relativa, sarà molto più difficile farlo nel pieno della tempesta.
E’ una cosa che dobbiamo fare ORA. E’ una cosa che dobbiamo fare prima di tutto il resto.
E’ LA priorità.
E’ una data che mi è stata “tramandata” 6 anni fa, in circostanze misteriose e difficili da spiegare.
Per alcuni anni, tra il 2018 e il 2022, ho intrattenuto delle comunicazioni con un “aldilà” di cui non ho ancora ben chiara l’origine.
La natura di queste comunicazioni era ambigua. Le modalità con cui le ricevevo ancora di più.
Per tutti questi anni, questa data l’ho conservata in forma più o meno privata.
Nel 2017 ho lanciato un progetto artistico chiamato “Discoteca Clandestina”. Un piccolo libretto che raccontava un scenario post-apocalittico musicale in cui i sopravvissuti si sarebbero riorganizzati in differenti tribù e fazioni lottando per la sopravvivenza.
L’intento, più o meno consapevole, era quello di portare l’attenzione su imminenti avvenimenti globali attraverso la creatività dell’arte e della musica. Sentivo fortemente che sarebbero arrivati tempi fuori dal comune.
Gli avvenimenti di Discoteca Clandestina si svolgevano in una linea temporale che via via diveniva sempre più catastrofica, lasciando come unica salvezza al gruppo degli “eletti” quella di essere trasportati nel futuro in un periodo in cui avrebbero potuto ricostruire l’umanità con una nuova forma di consapevolezza cosmica.
Secondo la timeline del libro, nell’arco di tempo tra il 2024 e il 2032 “un evento cosmico di proporzioni epiche, annunciato da un grande terremoto e dall’oscuramento del sole e della luna interrompe l’egemonia di Babylon (la dittatura tecnocratica). Tutti i danzatori pieni di fede scompaiono misteriosamente. I membri dell’elite tecnocratica si nascondono nei loro bunker sotterranei, inscenando un falso attacco dallo spazio ed ingannando il popolo a seguirli e nascondersi sottoterra”.
Per scrivere questa parte, avevo attinto ispirazione anche da un sogno che avevo fatto alcuni mesi prima.
Ero in una città, ed improvvisamente su dei maxischermi, in diretta, vengono proiettate le immagini di un’invasione aliena. Orde di dischi volanti sembravano far saltare tutto in aria. La gente entra nel panico e si riversa per le strade. Accerchiato da questa marea, mi trovo obbligato a seguire il flusso, che senza rendersene conto si dirige sottoterra, verso dei sotterranei.
Veniamo spinti all’interno di un grande stanzone senza aperture. Al centro sembra esserci una specie di reception, a cui mi avvicino. Chiedo alla ragazza se si può uscire da quel posto e mi risponde di no. Oramai eravamo scesi e non potevamo più uscire. Tra me e me penso che siamo finiti in una trappola.
Più tardi faccio un tour di quell’insieme di spazi sotterranei, dove vedo aree di educazione, scuole, palestre, e controllo indirizzato soprattutto ai più giovani. Passo per un check-in medico dove un uomo in camice vuole farmi un’iniezione alla pancia.
Visito anche degli spazi esterni, dove noto dei SUV leggermente futuristici, nel senso che avrebbero potuto essere modelli di qualche anno più avanti nel tempo. Vedo delle catene montuose e delle strutture artificiali, delle dighe, delle cupole, c’è perfino il cielo azzurro, ma sembra finto. Sempre tra me e me penso che in realtà sono ancora sottoterra e quella lì è tutta una messinscena.
Nel 2018 ho cominciato a portare Discoteca Clandestina live, in giro, con dei video tratti dal libro e un djset musicale con la musica descritta in esso. La mia era una missione, sentivo che in qualche modo ci si doveva preparare ai tempi che stavano arrivando, e il linguaggio che in quel momento avevo a disposizione era quello dell’arte. Tra il 2018 e il 2019 però, le cose sembravano ancora “normali”, e nessuno ci dava troppa importanza.
Poi, nel giro di qualche mese, la nostra realtà è drasticamente cambiata e siamo finiti dentro un vero scenario apocalittico. Ora l’attenzione delle persone era focalizzata sul disagio presente più che su quello di uno scenario immaginario.
Se tu conoscessi la data della fine cosa faresti? La renderesti pubblica?
In questi anni ne ho viste a centinaia di date profetiche, apocalittiche. Se vuoi vivere fuori dal qui ed ora basta che cominci ad aspettarti che accada qualcosa in qualche momento speciale nel futuro.
Una data nel futuro può creare enorme aspettativa.
Vivere nella speranza che un determinato momento tutto cambierà, che un “presente” nel futuro possa essere molto più importante del “presente” che stai vivendo (o più probabilmente non vivendo) proprio ora, accende continuamente l’aspettativa per qualcosa di esterno, che non arriva mai.
L’unico vero cambiamento parte da dentro di noi.
Il cambiamento siamo noi. Come vogliamo che il mondo cambi passa dalla trasformazione che dobbiamo fare noi per essere una parte in armonia del nuovo mondo a cui aspiriamo.
E aspettare un giorno o una data nel futuro significa aspettarsi che il lavoro da fare per essere pronti al cambiamento lo faccia qualcun’altro là fuori al posto nostro.
In molti si aspetta il ritorno di Cristo. Ma se Cristo tornasse ora, ce ne accorgeremmo? Dove andremmo a cercarlo? In televisione? Su Youtube? O dentro noi stessi, facendoci puro ricettacolo interiore, pronti ad accoglierlo nell’intimità del cuore?
Questa data potrebbe anche non significare nulla. Il 26 Agosto 2026 non succederà una minchia di niente, come disse Salvatore Brizzi, parlando però del 2025.
Ma se non ti poni degli obiettivi, non cambierai mai. E non farai comunque accadere nulla.
Qual’è il senso di condividere un’informazione così ambigua?
In poco più di 700 giorni come sempre mi sveglierò e dovrò darmi e dare una spiegazione del fatto che questo giorno sia passato nell’indifferenza totale.
Qualcuno ricorda l’aspettativa e l’attesa che c’erano per il 21 Dicembre 2012?
Io sì.
Qualsiasi cosa rappresenti questa data, non sembra voler rimanere lì nascosta tra gli appunti e i block notes. Chiede di essere piantata come un seme ora affinché sviluppi consapevolezza passo dopo passo, giorno dopo giorno, fino a quel momento nel futuro. Affinché qualsiasi cosa accada o non accada in quel giorno, venga vissuta in totale presenza.
E possiamo quindi creare un ponte tra il qui ed ora di adesso, e il qui ed ora di quel futuro. Se siamo presenti a noi stessi ora, possiamo già esserlo anche il 26 Agosto 2026. E se vivremo quel giorno in presenza, l’eco di quell’Evento risuona già dentro di noi, ogni qualvolta viviamo il nostro presente in consapevolezza, oggi.
Questo “Portale”, lo attraversiamo ogni volta che passiamo dallo stato di esseri meccanici ed addormentati all’essere svegli nel momento presente. Ogni volta che diventiamo consapevoli di noi stessi, oltre che del mondo che ci circonda, attraversiamo la porta verso il Nuovo Mondo. Il Regno dei Cieli è qui, solo che non lo vediamo ancora.
Non facciamo ancora lo sforzo consapevole di esercitare la presenza con disciplina e costanza, ogni istante che serve per farla diventare la nostra nuova realtà.
Qualcuno 2000 anni fa diceva di vegliare, perché non sappiamo quando il padrone di casa ritornerà.
Allora vegliamo, perché quel momento potrebbe essere più vicino di quel che pensiamo.